#39 - Rain on New York /3
di Yuri N. A. Lucia
Lagrime di amara rabbia ad essi rivolte… tremate tutti, oh voi che cagione foste del suo dolore…
Il
tetto era completamente bagnato e le gocce battevano rabbiose contro
l’ombrello, così forte che temette ad un certo punto che l’avrebbero fatto in
mille pezzi. Si alzò un vento gelido e fortissimo e si strinse nel soprabito
vecchio e ormai liso. Non c’era che dire, sembrava proprio uno di quei poveri
disgraziati che bazzicano nei vicoli in cerca di qualche cartone dove passare
la notte, e magari di qualche bottiglia con dentro ancora un po’ di alcool… per
dimenticare le proprie disgrazie. E le sue disgrazie le avrebbe dimenticate volentieri
anche lui. Ma non si poteva certo concedere questo lusso, era una questione di
principio. Cercò di accendersi una sigaretta, ma un soffio spense l’accendino.
“Andiamo
bene! - pensò - Non ti basta scatenarti su questa città con l’acqua, devi anche
impedirmi di fumare!”
Rinunciò
al suo proposito e si chiese quando si sarebbe fatto vivo.
Trovò
quasi subito risposta alla sua domanda.
Era
atterrato silenziosamente, dopo aver elegantemente descritto un arco, lasciando
la tela, sicuro di non sbagliare, posandosi con leggerezza, quasi non avesse
peso, senza neanche scivolare un poco su quel bagnato, viscido per via dello
sporco impastato. Avanzò sicuro verso di lui e cercò di togliersi dalla faccia
quell’espressione cretina, quasi fosse un bambino che rimane impressionato per
via di un gioco di prestigio di un abile illusionista. Si fermò a qualche passo
di distanza.
“Ti
consiglio vivamente di venire qua sotto se non vuoi finire annegato.”
Rimase
in silenzio. Grandi occhi di specchio lo osservavano e non poté non sentirsi a
disagio. Era così che si sentivano i delinquenti che lo guardavano? Come se si
trovassero di fronte ad un’immagine di se stessi, chiusi in un angusto
universo, in cui non si poteva sfuggire da quello che si era… in cui erano i
peccati commessi a determinare la propria forma? Forse era per questo che tutti
quei super tizi che si dedicavano al crimine erano tanto agguerriti contro di
lui… non sopportavano l’idea di essere guardati da quella maschera priva di
qualsiasi espressione… non sopportavano l’idea di venire da essa giudicati.
La
pioggia sembrava scivolargli addosso e lasciarlo completamente indifferente.
Arricciò il labbro superiore mandando un sospiro soffocato.
“Se
vuoi rimanere lì, per me va bene, però non venire a lamentarti con il sottoscritto
se ti buschi un raffreddore.”
“Ed
io che speravo già di potermi fare un bel check medico a tue spese! E’ un vero
peccato sai.”
La
sua battuta era priva di allegria e pronunciata con tono tagliente e caustico.
Era tuttavia un inizio.
“Molto
bene Rucker, sono qui dove mi volevi. Parliamo pure.”
Il
sergente Terenzio Oliver Rucker, detto Rookye dai tempi della scuola, era un
tipo fisicamente bizzarro, perché dava tutto fuorché l’impressione del
poliziotto sveglio. Somigliava paurosamente al Jerry Lewis del “Dottor Jerryll
e mr. Hyde”, solo che aveva dei profondi occhi neri, e l’aria perennemente
triste e pensosa. Era un uomo di mezza età a cui sarebbe piaciuto poter dire di
portarsi bene i suoi anni, sapeva che però non era così, troppe cicatrici addosso,
troppe cicatrici dentro, solo un po’ di ironia come difesa.
“Ti
ringrazio per essere venuto Ragno. Ho bisogno di te, disperatamente. Credo
anche tu di me. Vorrei cominciare dicendoti tutto quello che so, anche a costo
di ripetermi. Questi ceffi, i Jong, non sono i soliti criminali. Ad Honk Kong
hanno scalato in breve i vertici della mala, scalzando la vecchia Triade e
trovando appoggio in nuove famiglie. Stanno cercando di riproporre la stessa
strategia qui, anche se ci andranno molto più pesante visto che si aspettano di
incontrare una certa resistenza. Sono in contatto con una organizzazione
internazionale, di cui per ora ignoriamo il nome, che ultimamente si sta
facendo largo nel campo del commercio di armi e tecnologie teoricamente top
secret. Questi ultimi hanno dato persino i punti a organizzazioni come l’A.I.M.
e l’Hydra. I Jong hanno un rapporto privilegiato con loro, dalle informazioni
raccolte sembra gli abbiano promesso di affidargli in esclusiva il mercato
della micro-criminalità newyorkese una volta al timone, nonché una bella fetta
di mercato della vecchia East Coast, dove contano di espandersi in un secondo
tempo usando la Grande Mela come trampolino di lancio. Si sono già insediati da
mesi nel business della prostituzione e della pornografia, scommetto che Jim
questo te lo aveva detto.”
L’Uomo
Ragno rabbrividì sentendo il nome dell’informatore che gli era morto
praticamente sotto gli occhi. Terenzio se ne accorse, tuttavia continuò a
parlare dopo una breve pausa.
“Hanno
il controllo, tramite società di comodo, di un paio di case di produzione
legali e di almeno cinque club in zone rispettabilissime della città. Tuttavia
questa è solo una facciata. Producono e distribuiscono materiale di tipo
pedo-pornografico e ci sono minorenni che esercitano nei loro bordelli
mascherati. Siccome, come sai quando c’è di mezzo questo tipo di mondezza,
hanno l’appoggio delle così dette lobbies della pedofilia, si sono potuti
muovere indisturbati, coperti anche per quanto riguarda la legge. Ora però
vogliono di più: il mercato della droga e della ricettazione. Già hanno quello
di Chinatown, ma a differenza dei vecchi gruppi della Mafia cinese, non
vogliono limitarsi ad operare nei suoi confini accontentandosi delle briciole
di quello che c’è di fuori. Vogliono tutta la city… e il signore onnipotente mi
è testimone… credo che se continuano così l’avranno. I Gambino ci sono andati
di mezzo per caso. Qualcuno deve aver saputo qualcosa ed è andato a
spifferargli tutto, sicuramente per denaro. Le armi che hanno usato, gli
ND-565-H.V.I.S. di cui ti parlavo, sono, tieniti forte, di provenienza
latveriana.”
Se
avesse potuto guardarlo dritto in faccia avrebbe visto i suoi occhi sgranarsi
increduli, invece il filtro rosso su cui era disegnata una ragnatela rendeva
difficile immaginare quali fossero le sue reazioni la sotto. Tuttavia
l’atteggiamento del suo corpo tradiva qualcosa.
“Cosa!?
E questo come l’avete saputo? Vuoi dirmi che dietro i Jong c’è Destino???!”
“Intanto
ti ripeto per l’ennesima volta di venire qua sotto. Credo che non sia
completamente impermeabile quella tuta che indossi non è vero?”
Alla
fine, vinto, si andò a mettere sotto la tettoia che copriva l’accesso alle
scale del grattacielo. L’ombrello di Rucker offriva un’ulteriore riparo che
però sembrava del tutto insufficiente all’apocalisse che sembrava scatenarsi al
disopra delle loro teste.
“No.
Non crediamo ci sia Destino dietro tutto questo. Piuttosto qualcuno che abbia
messo le mani su vecchia tecnologia utilizzata dalle sue forze di polizia
droidi.”
“Vecchia
tecnologia?”
“Incredibile
vero? Sembrano uscite da un film di fantascienza quelle armi. Invece non sono
altro che l’armamento di pattugliamento in uso prima che tu facessi la tua
comparsa sulle scene sai? Prima che passassero ad armi di tipo energetico.
Queste informazioni devono rimanere tra noi, io le ho avute in via
confidenziale.”
“Da
chi?”
“Se
te lo dico che confidenza sarebbe?”
Rucker
si esibì in un sorriso da monello come solo lui sapeva e anche su questo il
Ragno cedette. Inequivocabilmente il suo atteggiamento ora era molto più
rilassato.
“L’organizzazione
di cui mi parlavi prima? Sono loro che gliele hanno fornite?”
“Si.
Ora, fatto il punto della situazione, ecco quello che succederà.
C’è
un boss del crimine qui che non prenderà di certo bene quello che i nostri
vogliono fare. Il che significa che ben presto, il tempo di radunare le forze,
ovvero tutto quelli che non gradiscono i nuovi pretendenti al trono, e si
scatenerà l’inferno per le strade di New York. La cosa andrà per le lunghe,
perché ci saranno invece altri che faranno fronte comune con i nuovi arrivati,
perché non gradiscono molto la politica gestionale del Gufo. Neanche ai tempi
di Kingpin c’era tanta insofferenza verso un boss del malaffare nella vecchia e
cara New York. Ci sarà poi chi giocherà per conto suo, sperando che si facciano
fuori tutti a vicenda e poter dopo raccogliere le briciole, poveri illusi
ovviamente, che verranno trucidati da chiunque sia il vincitore in un secondo
tempo.”
“Tu
su chi punti, Rucker?”
“Nessuno
dei due se potessi. Credo però che i Jong possano farcela a far ingoiare le
penne al vecchio. Hanno tutti i numeri per riuscirci.”
“E
questo ti preoccupa vero?”
“Il
Gufo non è certo un filantropo, ma in confronto a loro… e poi sai come si
dice…”
“Meglio
un nemico conosciuto… che uno sconosciuto. Hanno un capo?”
“Nessuno
conosce l’identità del loro grande capo. Qui a New York si occupa di tutto Xiu
Jingu, pubblicamente un rispettabilissimo uomo d’affari che si occupa di
informatica, è titolare di un’azienda che fornisce servizi di hosting,
assistenza a più livelli, costruzione di siti e pagine.”
“Accidenti,
meraviglie del 21esimo secolo. Una volta non erano così al passo coi tempi.”
“Si,
usavano ristoranti come coperture, buoni ristoranti di solito tra le altre cose.
Che ci vuoi fare, i tempi cambiano.”
Cominciarono
a ridere. Forse solo per scaricare la tensione che c’era nell’aria.
“Non
ti ho ringraziato ancora… per la faccenda di ieri. Posso chiederti perché non
hai fatto una parola su di me ai giornali?”
“Lo
sai anche tu. Ti sarebbero saltati addosso, specie il Bugle, se avessi detto
che eri presente al momento dell’omicidio di Jim. Quelli che abbiamo preso non
ti hanno messo in mezzo. A dire il vero non hanno detto una sola parola. Credo
abbiano una grossa paura che qualcuno li faccia fuori se cantano. Mi servi,
Ragno… non è una questione di generosità. Sto per imbarcarmi in una guerra che
non vorrei combattere e ho dannatamente bisogno di te. Posso contare sul tuo
aiuto?”
Peter
lo guardò dritto in quegli occhi scuri e tristi.
Cercò
di valutare che tipo d’uomo fosse, perché c’era qualcosa in lui che gli
sfuggiva. Avrebbe voluto fidarsi di lui… sembrava uno a posto… aveva bisogno di
fidarsi di qualcuno. Ma aveva sentito lo stesso bisogno anche con Stan… e Stan
si era rivelato essere la maschera indossata da un mostro orripilante che aveva
spezzato la vita di una persona che aveva stimato molto, che… che cosa?, si
chiese. Che cosa era stata davvero per lui Jean De Wolf? Un’amica? Troppa poca
intimità. Un amore? Troppo poco tempo per stabilire se tra loro ci potesse o no
essere qualcosa. Ma nel buio della sua stanza da letto, mentre Mary Jane
dormiva, o era assente per qualche motivo… rivedeva tutte quelle foto di se
stesso… del suo alter ego… e si chiedeva il perché. Cosa pensava davvero di
lui? Perché era dalla sua parte quando tutti lo avversavano? Poi Rucker lo
riporto alla realtà.
“So
che ieri con te sono stato duro. Ma quello che ti ho detto è la verità. Non
puoi farti carico di ogni cosa. Non puoi flagellarti per tutto. Non ha senso,
non è giusto. Ogni uomo deve farsi carico delle proprie responsabilità,
ragazzo… ma non ha il diritto di chiedersi di fare di più.
So
anche che fidarsi di uno sconosciuto è difficile, specie per un solitario come
te. Ma nella vita c’è un momento in cui si deve imparare ad andare oltre, a
tendere una mano… o a stringerne una che ci viene porta.”
Due
mani si strinsero nell’oscurità e un silenzioso patto venne stipulato.
I
suoi grandi occhi azzurri la fissavano di rimando da uno specchio con
un’insolita aria di approvazione che le strappò un sorriso di quelli da
illuminare una cupa notte invernale. Il vestito che aveva comprato da Roman’s
era un vero schianto. Lungo fino alle ginocchia, tagliato obliquo alla fine,
sbracciato, di disegno discreto e sobrio, sarebbe stato un amore con quelle
scarpe prese da Sabatino due settimane prima. Amava spendere per vestirsi, non
ci poteva fare nulla. E poi doveva essere quanto meno in condizioni da non
sfiguare completamente con…
“Ilya!
Che diavolo stai pensando!”
Si
rimproverò con forza nella sua testa. Si stava forse mettendo in testa che
potesse in qualche modo mettere in competizione con una star della tv? Una top
model strapagata, protagonista del musical più di grido del momento? Si chinò
in avanti assumendo un espressione maliziosa, mentre si guardava la scollatura…
si vedeva quanto era bene si vedesse. Poi si mise a ridere per quel modo di
agire che non era certo il suo.
Ma
il dott. Parker… Peter… era così…
“Ah,
signorina Anderson! Cosa facciamo qui? Prove di seduzione selvaggia?”
“Rachel!”
Non
aveva sentito l’amica rientrare, brutto segno! Voleva dire che era troppo persa
dietro le sue fantasticherie. Si vergognò un poco per essersi fatta beccare
così, in posa forzatamente sexy, come una ragazzina che gioca a fare la donna
vissuta.
“Stavo
solo… al diavolo! Confesso tutto e mi appello alla clemenza di vostro onore
richiedendo la semi infermità mentale.”
“Ah
certo, quella te la concedo. E’ evidente che sei fuori di te per una gravissima
cotta di primo grado!”
“Non
è vero! Non dire scemenze!”
“Mhhh
dici? Io direi proprio di sì invece. Credo proprio che il tuo dottorino ti
abbia fatto perdere il senno. Del resto se è bello di persona come nelle foto
di quel servizio sulla moglie in cui compare anche lui… ha un viso troppo
carino e poi sotto quei vestiti mi sa che ha un fisico niente male.”
“Sigh!
Hai ragione… dovresti vederlo però al laboratorio. Con la matita messa
sull’orecchio e quel camice bianco… gli dà un’aria da intellettuale un po’
solitario… Dio, quando ti guarda con quegli occhi da bambino spaurito…”
Ridacchiarono
di gusto insieme.
“Comunque
non mi sono messa in testa niente. E’ sposato e non credo che con la sventola
di moglie che si ritrova venga di certo a pensare a me. Però…”
“Non
riesci a smettere di immaginarti le sue labbra carnose che si posano sulle tue
e…”
“No!!!!
Che scema che sei! Non è il tipo… sembra proprio il marito fedele che tutte
vorrebbero sposare. E’ solo che non riesco a non pensare a lui… alla sua
gentilezza. Sai, sembra quasi che si preoccupi davvero per te quando ti parla o
ti fa delle domande. Si interessa davvero a quello che gli dici ed è sempre
attento a non urtare la sensibilità di nessuno… non che ogni tanto non prenda
di petto qualche collega quando c’è qualche questione in ballo. Ma sembra una
persona così sensibile… così fragile… sai immagino che sia un padre
meraviglioso per sua figlia. Mi ha fatto vedere delle foto. E’ una vera
delizia! Ha i suoi stessi occhi dolci e carichi di affetto e deve essere una
vera birba da quello che mi ha raccontato. Mi veniva voglia di mangiarmela di
baci solo a guardare le foto. Avresti dovuto vedere come la stringeva a sé,
quasi volesse proteggerla da tutto il mondo… e come la guardava!Come se fosse
la sua stessa vita. Anche la moglie aveva negli occhi la stessa espressione… e
tutti e tre insieme. Sembrava proprio che fosse la cosa più giusta del mondo la
loro famiglia.”
Sospirò
mestamente.
“Ilya,
Ilya, Ilya… povera piccolina. Trovi l’uomo giusto… ma al momento sbagliato… ed
ora che farai?”
“Io?
Niente! Tu piuttosto? Sei invitata anche tu allo spettacolo al Fawcett Theatre
di domani sera. Quindi vedi di renderti presentabile, sciattona che non sei
altro. Magari se siamo irresistibili, chissà, potremmo trovare i nostri uomini
ideali allo spettacolo… magari se siamo fortunate non sono sposati…”
“Allora
c’è il rischio che siano quasi sicuramente gay!”
Risero
per diversi minuti per quella battuta.
Rucker
cercava di gustarsi una ciambella comprata ad un caffè poco distante dal
distretto. Era impossibile riuscirci, sembrava di mangiare un copertone fritto
nell’olio di scarto del McDonald. Al pensiero che potesse essere davvero così,
si sentì male e la diede vinta a quella schifezza. La ripose nella scatola e
tornò ad osservare il Curiosity.
“Capo,
è un ora che siamo qui e non è successo niente.”
“Già.
Siamo a New York City, la città delle Meraviglie. Ogni giorno ce ne è una. Se
non è Hulk che si sta prendendo a mazzate con la Cosa, allora è Capitan America
che mazzola il Teschio Rosso. Incredibile che non succeda mai nulla dove
dovrebbe. Stasera è diverso, Mansel. Stasera succederà qualcosa.”
“Non
voglio mettere in dubbio quello che dice. Tanto meno contestare le sue fonti.
Ma già il Capitano non era contento di questa operazione, ne di rimanere allo
scuro sul dove ha avuto la dritta, signore. Se tutto dovesse risolversi con un
buco nell’acqua…”
“Non
mi sono mai sbagliato, ragazzo… non ho intenzione di iniziare ora.”
“Non
volevo dire questo…”
“Stavolta
ho scommesso sul cavallo giusto… fidati.”
Si
sentiva male. La testa le pulsava forte e sentiva una febbre feroce divorarle
il corpo. Riusciva a malapena a muovere le gambe e le braccia. I suoni e i
rumori le arrivavano rallentati e le sembrava di vedere tutto dello stesso
assurdo colore rosa. Per un attimo fu come se qualcosa picchettasse sul suo
cervello mandandole in frantumi la coscienza. Si chiese se quella fosse la
morte. Si trovò quasi a sperarlo. Ma non era così fortunata. Sentì un corpo
dalla mole considerevole che le veniva sopra, sussurrandole parole dolci che
stridevano terribilmente con il puzzo di perversione di tutto quello che stava
accadendo. Voleva piangere, ma si sentiva troppo intontita per farlo. Non
sapeva se accettare passivamente il suo destino e lasciarsi andare, o se annullarsi
in se stessa per sfuggire a quella ulteriore umiliazione. Una delle tante che
aveva subito da quando era iniziato il suo disperato viaggio. Poi ci fu come
un’esplosione di rumori e immagini velocissime. Qualcosa, una macchia nera
indistinta. Forse un ombra i cui contorni erano solo vagamente umani.
Quando
aveva visto quello che stava per succedere non aveva potuto trattenersi oltre.
Una rabbia come non sentiva da tempo si era impossessata di lui. Al diavolo le
foto da esibire come prove. Al diavolo l’effetto sorpresa. La finestra era
volata in pezzi al suo passaggio, una bestia dolorante per quello che aveva
visto. Poco più di una bambina che stava sotto quello schifoso ciccione,
probabilmente a giudicare dallo sguardo drogata, in modo da offrire meno
resistenza possibile. Prese l’uomo, facendo aderire la mano sulla schiena e lo
rovesciò a terra in malo modo. Trattenersi dal fargli male fu difficile. La
tentazione era fortissima. Doveva agire in fretta. Sfondò la porta, incrociando
le braccia e caricando come un ariete. Rotolò sul pavimento in tempo per
evitare un colpo di coltello vibrato da uno dei giovani asiatici di guardia al
bordello sopra il Curiosity. Neanche loro erano stupidi. Niente pistole. Bravi,
pensò, così evitate il rischio di farvi fuori a vicenda. Anche loro erano
veloci, evidentemente ben preparati. Uno gli lisciò la schiena con un
velocissimo calcio.
“Bella
prova, Bruce Lee. Ma il Drago originale mi avrebbe sicuramente preso. Si vede
che sei una controfigura.”
L’altro
non si dette pensiero a ribattere, sempre che lo avesse capito, anche se
sospettava che quelli parlassero tutti inglese. Non erano i soliti tirapiedi
che si lasciavano prendere dal panico o dalla rabbia, cadendo nel suo tranello
psicologico. Rimanevano concentrati sul lavoro di squadra e sul compito
primario: farlo fuori. Una catena che non aveva potuto evitare, per non finire
affettato da un colpo di spada, gli si attorcigliò intorno al braccio. Sentì un
dolore acuto, segno che il tizio non ci era andato leggero. Immediatamente un
altro andò a dargli man forte reggendo l’altra estremità. Il senso di ragno lo
avvertì in tempo della pistola che uno gli aveva appena puntato dietro la nuca.
Scansò la testa verso sinistra appena una frazione di secondo prima che quello
premesse il grilletto. Una frazione di secondo che lo aveva separato dalla
morte. Cercò di assestargli un calcio all’addome, però venne tirato con forza
all’improvviso dagli altri due che tenevano la catena. Lo distrassero quel
tanto che serviva al loro amico per togliersi dalla traiettoria del colpo.
Qualcosa si abbatté sulla sua schiena: un bastone che andò in pezzi. Il senso
di ragno aveva pizzicato poco, evidentemente perché non lo reputava qualcosa di
letale in confronto agli altri pericoli che correva. Grosso errore da parte del
fidato amico che aveva nel cervello. Il dolore l’aveva sentito nonostante la
sua struttura muscolare fuori dalla norma. Bloccò tra due dita un pugnale che
li aveva lanciato un tipo smilzo e dall’aria particolarmente pericolosa alla
sua destra. Con uno strattone mandò quelli che cercavano di trattenerlo a
sbattere contro uno alle sue spalle. I tre finirono insieme contro il muro
tappezzato di velluto rosso. Una bella botta che li avrebbe messi knock out per
un po’. Lanciò il coltello ai piedi del proprietario, usando il suo colpo
d’occhio per mandarglielo il più vicino possibile allo scopo di distrarlo. Con
un balzo si ritrovò sul soffitto.
“Ottimo,
da qui ho una prospettiva decisamente migliore.”, si disse mentre li osservava
dall’alto. Cinque in tutto, ma ce ne erano altri. Solo che rimanevano in attesa
chissà dove, preferendo non ammassarsi tutti nello stesso modo così da non
togliere mobilità ai compagni. Ancora una prova del fatto che erano dei
professionisti.
Si
chiese cosa stesse facendo Rucker e sperò che intervenisse quanto prima.
La
squadra aveva agito all'unisono, con efficienza e precisione, come ci si augura
che avvenga quando si sta entrando nella tana della bestia. Sicuramente i Jong,
tra tutte quelle che aveva visto, erano una delle più pericolose e cattive.
Aveva estratto la sua beretta e si era posto immediatamente dietro un muro,
accovacciato, sbirciando per vedere se qualcuno era pronto a impallinarlo. Dal
piano di sopra venivano rumori che lasciavano intendere che il ragnetto era già
all'opera. Doveva salire su a dargli una mano quanto prima. Erano partiti pochi
colpi di pistola, tutti mirati, ed era un miracolo che nessuno dei ragazzi
fosse morto. Si erano disposti in maniera tale da tenere sotto controllo l'accesso
al grande salone dove c'era la rampa di scale che portava in alto. Non
avrebbero sparato un solo colpo più del necessario, c'erano ancora molti ospiti
e non era consigliabile uccidere dei buoni clienti nel mezzo di un conflitto a
fuoco. Temeva che la situazione finisse in un lungo stallo e così, come spesso
gli era capitato nella vita, cercò di fare la differenza agendo d'impulso.
Fece
cenno a Mansel e Scott di coprirlo. Per un attimo i due sembrarono interdetti,
poi, quando agì, misero all'istante da parte i dubbi e le eventuali rimostranze
che avevano da sottoporre e spararono un paio di colpi per distrarre i cecchini
appostati nella sala.
Nonostante
non fosse più un giovanotto, scattò rapido e deciso, tenendo il profilo basso e
zigzagando, esplose alcuni colpi d'avvertimento, mirando al bancone del bar, a
un paio di tavoli, a un muro, allo stipite di una porta, per far capire che era
meglio che non mettessero il naso fuori. Un paio di loro trovò il coraggio e il
momento giusto, per rispondere al fuoco. Benedì l'inventore del kevlar quando i
proiettili forarono il soprabito e la camicia e premettero con forza sulle
carni. Ignorò il dolore e sparò un colpo preciso ai muscoli brachiali del tipo
che si era alzato di scatto da dietro il bar, paralizzandogli così il braccio
che ricadde come privo di vita, lungo il fianco mentre la pistola finiva a
terra. Scott, invece, gambizzò un'altro che, riparato in parte da un comodo
divanetto, voleva evidentemente bucargli la testa. Era un'impresa cercare di
non inciampare negli avventori che stavano distesi a terra, alcuni abbracciati
disperatamente ad altrettanto spaventate cameriere. C'era un nauseante profumo
nato dall'unione di incenso, Chanel, dopobarba e sudore. Escluse l'olfatto
perché altrimenti si sarebbe messo a vomitare. Mentre i suoi uomini
continuavano a tenere sotto tiro gli sgherri che stavano sotto, salì verso
l'alto, facendo gli scalini a due a due, badando bene che non ci fosse nessuno
appostato alla fine di essi che gli facesse la festa.
Era
sceso dall'alto, gettandosi tra di loro, proprio un secondo prima che aprissero
il fuoco sul soffitto. Era calato come un'ombra che tutto ingoia e imprigiona
nella sua tenebra. Con il taglio della mano colpì, comprimendoli, fasci nervosi
di un braccio che per un po’ sarebbe stato paralizzato. Si abbassò di scatto e
un circolare diretto a lui prese uno che si preparava a colpirlo con una
pugnalata. Si spinse leggermente indietro, infilando il gomito tra le costole
di quello che gli aveva fatto il favore, ruotò su se stesso, alzandosi, mentre
il bersaglio del suo colpo andava addosso ad uno che era rimasto fuori dalla
mischia, e mentre veniva su colpì con un pugno che andava verso l'alto, una
mascella, appartenuta ad un ragazzo ben piazzato, dallo sguardo deciso e dai lineamenti
duri, che cadde privo di sensi a terra. Parò con una mano sola un paio di
velocissimi calci e bloccò il terzo. Mandò a gambe all'aria quello che aveva
cercato di colpirlo.
Il
senso di ragno urlò, prima che potesse fare qualcosa, sentì un paio di colpi.
Rucker aveva colpito uccidendolo, quello che, confidando nel fatto di avere un
bersaglio relativamente facile poiché impegnato con gli altri, si era tenuto in
disparte, riparato alla vista dietro un pesante tendaggio color scarlatto, da
dove contava di porre fine alla carriera dell'arrampicamuri. La tenda era
bucata in corrispondenza di dove, poco prima, c'era l'addome e il tipo, cadendo
all'indietro, era finito con le spalle al muro, scivolando verso il basso
mentre si teneva le ferite. Il capo era reclinato in avanti con gli occhi
ancora aperti e un'espressione di sofferente dolore dipinta sul volto.
Lo
guardò pieno di rabbia.
"Stupido!"
Non
riuscì a pensare ad altro mentre considerava il modo in cui era dovuto morire.
Un paio di loro cercò di rimettersi in piedi ma erano troppo malconci per farlo
e Rucker sconsigliò vivamente loro di ripetere il tentativo puntandogli la
pistola contro. C'era chi aveva portato la mano alla bocca che era rimasta
orfana di una considerevole quantità di denti, chi si stringeva al petto una
mano le cui nocche erano rotte, chi non sapeva dove gli faceva veramente male
per tante erano le botte che aveva preso.
Mansel
arrivò dopo pochi istanti, annunciando che giù la situazione era
sottocontrollo. Mentre gli uomini dei Jong, scortati da alcuni membri della
squadra speciale, venivano scortati verso il basso, l'Uomo Ragno andò a
sincerarsi che la ragazzina che aveva salvato stesse bene. Sembrava caduta in
uno stato di trance causato dallo shock e dalle droghe che evidentemente le
avevano propinato. Le parlò lentamente, cercando di catturare la sua attenzione
e farla reagire. Le stava accanto e le teneva la mano. Alla fine, quel tono
gentile e morbido, la fece scuotere dal torpore che l'aveva pervasa. Singhiozzò
disperatamente, gettandosi tra le sue braccia, la testa su quel petto forte,
ornato con il simbolo di un crudele e fiero predatore. Le lacrime che
sgorgavano fuori e che sembravano non volersi fermare, proprio come la pioggia
che fuori, urlava con veemenza il suo disprezzo per i mortali. Le carezzò con
delicatezza la testa, mentre la stringeva piano a sé con l'altro braccio. Poco
più di una bambina che ora si abbandonava completamente alla sua protezione,
confidando nel fatto che avrebbe impedito ad altri di farle del male. Ma quanto
ne aveva già subito? E sarebbe stato in grado di proteggerla sempre? Questa
domande per il momento non avevano risposta.
Xiu
Jingu era un uomo che difficilmente cedeva alle passioni. Sin da piccolo, era
stato allevato dal padre a mantenere sempre e comunque la calma. Non sempre
però, nonostante anni e anni di disciplina, gli era facile mantenere il
controllo.
“Così
per la seconda volta questo Uomo Ragno interferisce nei nostri piani e, per la
seconda volta, è ancora in vita.”
Feng
osservava con aria distaccata la stanza in cui Xiu aveva fatto entrare il
giovane Gon, una stanza arredata in modo sobrio ed elegante, all’occidentale,
come il suo padrone amava.
“Signor
Xiu! Sono costernato, mi creda, non credevamo che avremmo avuto di nuovo a che
fare con il Ragno così presto. “
“No?”
Il
ragazzo deglutì a fatica. Con la coda dell’occhio non riusciva a far a meno di
sbirciare Feng all’apparenza calmo, che guardava un costoso mobile italiano
poco distante da lui. Sapeva che mr. Xiu non si sarebbe sporcato le mani…
avrebbe dato un ordine al suo braccio destro e la sua vita sarebbe terminata in
un istante.
“Gon,
ti conosco da molto tempo. Io e tuo zio, che ora riposa nella terra dei più,
abbiamo vissuto molte esperienze insieme e siamo stati buoni amici. Ha sempre
servito la nostra famiglia con lealtà e devozione. Era un uomo capace e pronto
a tutto pur di ottemperare ai suoi doveri. Non ci sono più elementi come lui
sai? Prima di morire, mi chiese un favore. Mi chiese di occuparmi di te. Del
suo unico e scellerato nipote. Mi chiese di farti divenire un uomo. Devo dire
che negli ultimi anni mi hai sorpreso. Ho sempre pensato che fossi un vero
buono a nulla, un totale incapace. Invece hai messo la testa a posto, hai
dimostrato che quando vuoi anche tu puoi combinare qualcosa di buono. Ora però
è successo questo sgradevole inconveniente…”
Il
silenzio che calò era pesante, oscuro come il drappo della morte.
“…
tuttavia non posso biasimarti e darti la colpa di tutto. In parte sono io il
responsabile di questo inconveniente. Ho sottovalutato troppo la potenziale
minaccia rappresentata dall’intervento dell’Uomo Ragno al porto. Non succederà
una seconda volta. Bene ragazzo, puoi andare, per oggi non ho nulla da
rimproverarti. Vedi però di non darmene motivo in futuro… intesi?”
Gon
si sentiva come se quello fosse il più bel giorno della sua vita.
Ringrazio
il superiore con la stessa gioia di un cane che fa le feste al padrone e uscì.
“Secondo
te ho fatto bene a risparmiarlo?”
Feng
si girò lentamente verso di lui, rispose con il suo solito tono neutro.
“Ucciderlo
non avrebbe cambiato le cose. Abbiamo bisogno di tutti gli uomini disponibili,
almeno finché la nostra organizzazione qui non si sarà consolidata.”
“Giusto.
Comunque quel vigilante deve morire. Ha interferito una volta di troppo con i
nostri piani.”
“Non
credo sarà facile.”
“Dici?”
“Non
siamo i primi che hanno un conto da regolare con lui. Nonostante abbia una
lista di nemici lunga da qui a Hong Kong, è ancora vivo.”
“Lo
so. Per questo stiamo preparando un corpo di Soldati P.”
Feng
aveva un aria scettica.
“Non
credi basti per toglierlo di mezzo?”
“Senza
una buona strategia, no.”
“Cosa
suggerisc?”
“Studiamolo.
Parliamo con chi lo ha già affrontato. Confrontiamo diversi punti di vista. Poi
agiamo con decisione.”
“Ahahaha
Feng! Cosa farei senza di te? Bene… allora ti affido il compito di preparare
un’efficace piano per eliminarlo una volta per tutte. Nel frattempo io mi
occuperò della questione con i Gambino. Non voglio lasciare nessun conto
aperto… neanche con loro.”
Mary
Jane era a pezzi. Era più di due ore che provavano e riprovavano gli stessi
passi. Il regista oggi sembrava non essere mai soddisfatto di nulla. Per alcuni
istanti aveva pensato di commettere un omicidio liberandosene una volta per
tutte. Prese un sorso d’acqua fresca dalla sua bottiglietta e allungò le sue
magnifiche gambe, stirandole, mentre si aggiustava il cuscino dietro la
schiena. Ancora un po’ e sarebbe andata in frantumi. Le venne in mente che
Peter sopportava sforzi decine e decine di volte superiori, tutti i giorni, per
diverse ore al giorno, eppure quando tornava a casa era quasi sempre riposato e
rilassato. Tranne quando gente come Octopus o Lizard lo pestava. Si morse il
labbro a quel pensiero. Quante volte lo aveva visto tornare a casa ridotto
male? Troppe. Si chiese quanto ancora avrebbe sopportato. Sapeva che quando lo
aveva sposato aveva accettato tutto quello che comportava essere la moglie
dell’Uomo Ragno. Si sentiva in colpa ora, perché sentiva di non farcela più. Si
era sempre detta che era come essere sposata ad un poliziotto. Era la missione
dell’uomo da lei amato e scelto per marito, del padre di sua figlia. Ora però
qualcosa si stava rompendo dentro di lei. Quando guardava quella maschera… era
come se i grandi occhi a specchio fossero vivi, animati da una sinistra
coscienza, alimentata dal lato oscuro dell’uomo che la indossava, dal suo
dolore, dalle sue tragedie. Sembrava quasi che facesse di tutto per crearsene
di altre, perché aveva sempre fame di dolore, di lacrime. Si maledisse per aver
pensato quella cosa. Però era un dato di fatto… dentro di lei si era fatto
largo l’assurdo convincimento che in un qualche modo l’Uomo Ragno fosse un ente
vivo, autonomo, slegato da Peter e che desiderasse la sua infelicità, la sua
rovina. Si passò una mano tra i capelli bagnati dal suo stesso sudore. Doveva
trovare il modo di affrontare la situazione, forse parlarne con lui. Si ma che
cosa dirgli? Che sentiva lo sguardo freddo e crudele dell’ Uomo Ragno ogni
volta che ne indossava la faccia? Doveva chiedergli di smetterla? Di lasciare
stare tutto prima che gli venisse tolto più di quanto non fosse già? Prima che
anche la sua famiglia, lei e sua figlia, venissero travolte dalla catena di
eventi funesti che sembravano seguire passo passo il suo alter ego? Si sentì
disperata, piccola, indifesa, sola.
Avrebbe
voluto abbandonarsi al pianto ma non osava permetterselo. Farlo sarebbe stato
come aprire il vaso di pandora. Se avesse lasciato che quel senso di
frustrazione che provava per quella situazione a cui sembrava non esservi
rimedio, venisse fuori, sarebbe stata la fine… tutto il resto non lo sarebbe
più riuscita a trattenere. Per un istante, odiò il marito perché era la fonte
di tutto quel dolore, anche in un giorno in cui avrebbe dovuto pensare a tutt’altro.
Rimase scioccata quando realizzò che cosa aveva pensato… avrebbe voluto morire.
Ci volle un po’ prima che rispondesse agli appelli dell’assistente di scena che
le bussava alla porta.
Rucker
guardava il panorama magnifico e allo stesso tempo avvilente della Grande Mela.
Si chiese cosa lo trattenesse, ad anni di distanza, ancora lì. Se fosse stato
furbo se ne sarebbe dovuto andare anni addietro. La furbizia non era mai stato
il suo forte. Il Ragno era accovacciato sopra il parapetto e teneva le braccia
appoggiate sulle ginocchia. Era stata una giornataccia per il ragazzo.
“Vuoi
farti un tiro?”
Gli
porse una delle sue sigarette e quello la osservò per qualche istante senza
parlare.
“Non
fa per me.”
Sorrise,
era un salutista. Chissà perché se lo era immaginato.
“Meglio
così. Vivrai più a lungo.”
“Una
bella notizia. Soprattutto se penso che dovrò vederne altre di porcherie, come
quella di stasera.”
Si
accese la sua paglia e tirò una lunga boccata.
Caro
vecchio veleno, come anestetizzava lui la nausea e lo sconforto…
“Ne
vedrai senz’altro molte altre.”
“Evviva!”
Disse
con tono acido e carico di rabbia.
“Falla
finita…”
Rimase
interdetto alla risposta fredda del poliziotto.
“Che
cosa hai detto?”
“Hai
capito bene.”
Tirò
ancora e lasciò andare un anello che si involò in alto, frantumandosi. Lo seguì
con lo sguardo, durante la breve traiettoria di un’altrettanto breve esistenza.
Che fossero tutti così? Anelli di fumo di Dio… che si illudevano di poter
raggiungere il cielo, ma che in realtà si frantumavano, disperdendosi nel
nulla, prima ancora di poter dire di essergli arrivati vicino…
“Senti
ragazzo, so che non è un bel momento per te. Il porto, il tuo informatore, ed
ora questa merda. Cristo santo, ti capisco, è un tale schifo che ti verrebbe
voglia di mollare tutto e andare via, senza voltarti, lasciando andare tutto in
malora. Però non lo hai fatto finora e se vuoi ti spiego anche il perché. Ti
senti responsabile. Senti che puoi e devi fare qualcosa per cercare di porre un
freno a questa follia. Così un bel giorno sei diventato l’Uomo Ragno.”
Colpì
con il pugno una porzione del parapetto che si sbriciolò e saltò giù. Puntò il
dito contro Rucker.
“Ehi,
tu che ne sai del perché io sia diventato l’Uomo Ragno?!” chiese mentre la
rabbia montava dentro, cercando di rompere gli argini che anni e anni di
controllo forzato avevano creato. “Che ne sai del perché faccio quello che
faccio? Del perché sono sulle strade da anni?! Del perché insisto, giorno dopo
giorno, a tuffarmi dentro questo disgustoso putridume??! Mi conosci?! Sai chi
io sia??!!! Dico che per essere uno che conosco da poco, pretendi di conoscermi
dannatamente bene!!!”
Terenzio
Roockye era rimasto calmo, impassibile, continuando a fissare dritto davanti a
sé, a studiare quelle luci, come lumi celesti scesi in terra, in mezzo ad un
inferno che si perpetrava un giorno dopo l’altro.
L’Uomo
Ragno prese un profondo respiro, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi ed
aprendo i pugni che fino ad un attimo prima aveva stretto minacciosamente.
“Va
meglio?”
“…
sì…”
Si
voltò anche lui a contemplare il familiare paesaggio.
“Senti,
scusa per un attimo fa… ma quello che hai detto…”
“Quello
che ho detto prima… è che indipendentemente dal vero motivo per il quale
indossi quel costume… lo fai… ormai hai preso una strada… un impegno. Devi
portarlo avanti. C’è tanta brava gente là fuori e, che mi piaccia o no, non
sempre siamo in grado di difenderla. Per questo c’è bisogno di tutto l’aiuto
possibile, anche quello di voi folli meraviglie mascherate. Non puoi farci
niente, le cose stanno così. Non puoi neanche passare il resto della tua vita a
darti la colpa di cose per le quali non potevi fare niente. Non sei stato tu a
mettere quella ragazzina su quel letto, alla mercé di quel porco bavoso. Sei tu
però che l’hai tirata fuori di lì. Se non ci fossi stato, non oso pensare a
quello che sarebbe successo. Senza contare tutti gli uomini della mia squadra
che hai salvato distraendo gli uomini lì dentro. Se non fossero stati occupati
con te, non saremmo passati con tanta facilità.”
Considerò
quello che il poliziotto aveva detto.
“Grazie
per le tue parole, Rucker. Ogni tanto fa piacere sapere che non tutti ti
reputano una minaccia che trama per distruggere tutto e tutti.”
“Io
credo che l’unica minaccia che tu rappresenti sia verso te stesso… sei afflitto
da un grosso complesso di vittimismo. Non fraintendermi… non so nulla di te… di
quello che ti è successo… ma non serve saperlo per capire che è ora che tu ti
dia tregua. Sei giovane, hai una vita davanti a te e un compito difficile. Sarebbe
il caso di perdonarsi, non credi?”
Sotto
la maschera si allargò un sorriso.
“Mi
piacerebbe riuscirci. Ci provo, ogni tanto. Non è semplice.”
“Cosa
lo è? Dovresti però provarci con un po’ più di convinzione.”
“Dici?”
“Dico.”
Il
Ragno cominciò a ridere. Rise per un po’, mentre un paio di lacrime gli
rigavano il volto. Rucker gli mise una mano sulla spalla.
“Va’
a casa ora, sempre che tu ne abbia una. Qui non puoi più fare niente. Ci
vediamo domani al posto che ti ho detto prima, d’accordo?”
Peter
assentì.
“Bene,
Sergente. Ci vediamo domani per decidere cosa fare. Se hai altre notizie su
questi Jong…”
“Ti
dirò tutto, non preoccuparti. A domani testa di tela.”
Senza
dire altro, con un possente balzo, si allontanò dal tetto, atterrando su uno
distante alcune decine di metri. Ci mise pochissimo a sparire nel nulla.
“Accidenti…
come ti è venuto in mente di fare questo lavoro?”
Rucker
non trovò la risposta alla sua domanda… scese giù mentre la cicca era quasi
finita.
Rientrò,
attento a non fare il benché minimo rumore. Molto bene, pensò. M.J. non era
ancora rientrata dalle prove. La bimba era con zia Anna. Era felice di non
dover giustificare alla moglie la sua uscita in nero, sapendo bene quanto
odiasse quella suit. Aveva dovuto indossarla, per rendersi il meno visibile
possibile. Per un’incursione così pericolosa non poteva usare il suo solito
costume rosso e blu. Lo avrebbero visto a centinaia di metri di distanza con
tutte le luci che c’erano nel quartiere. Ripose il costume in un angolo
dell’armadio, dove sapeva che la moglie non avrebbe guardato. Kaine
probabilmente se la sarebbe presa a male se avesse saputo di quel suo exploit
in nero, del resto che diavolo, era stato lui a girare per primo con quel
costume. No, la prima era stata la Donna Ragno, la seconda a portare quel nome,
se mai qualcuno avesse dovuto accampare dei diritti su quel modello, quel
qualcuno era lei. Sorrise divertito immaginandosi una causa legale tra loro
tre, con Matt che si assumeva il compito di rappresentarlo. Poi il pensiero
tornò alla moglie.
“Perdonami
amore mio.”
Sperò
vivamente che non lo venisse a sapere. Avevano passato dei brutti momenti di
recente e non gli sembrava il caso di rovinare la quiete che sembravano aver
raggiunto ultimamente. Tra l’altro Mary Jane doveva pensare allo spettacolo, la
sua grande occasione. L’Uomo Ragno lo aveva costretto a passare una vita
all’ombra, a non realizzare pienamente tutti i suoi sogni… non era il caso che
lo facesse anche con lei. Dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare a causa
sua, non voleva aggiungere altri dolori da tenersi dentro. Bastava già lui in
famiglia a rodersi l’anima. Si guardò allo specchio. Rimase stupito nel
constatare quanto il suo sguardo fosse cupo e triste… pensò a quello che Rucker
gli aveva detto. Gli piaceva parlare con quel piedipiatti. Aveva un modo di
fare che andava dritto alla questione. Si sforzò di ricordare che c’erano stati
altri poliziotti con cui aveva avuto buoni rapporti… e che non era finita
propriamente bene.
“Troppi
problemi Parker… ti fai troppi problemi.”
Sorrise
di nuovo, immaginando che quelle parole gliele dicesse Rucker.
Forse
era tempo che imparasse a prendere le cose in modo diverso, si disse.
Feng
aveva girato per molto tempo. Aveva chiesto in tutti i più sordidi locali che
sapeva essere frequentati anche da paraumani e mutanti che avevano problemi con
la legge. Luoghi dove spesso cercavano favori, identità da comprare, ingaggi.
Il fetore dell’ultimo locale dove era stato ancora gli torturava il naso. Aveva
ricevuto l’informazione che cercava e questo lo rendeva lieto, perché il suo
girovagare era finito. Il suo informatore, per un compenso di duemila dollari,
si era offerto di metterlo in contatto con la persona che cercava, uno molto
cauto, che ci teneva alla sua privacy e che non si trovava facilmente, a meno
che non volesse farsi trovare ovviamente. Ultimamente era poco incline agli
incontri, per questioni personali gli era stato detto. A lui non importava
molto. Voleva solo comunicargli l’offerta del suo padrone. Il luogo dove avrebbero
dovuto vedersi era un vecchio fabbricato abbandonato, risalente ai primi anni
’80, l’era dell’edonismo reganiano, ormai solo un triste e scalcinato monumento
a quel periodo, muto testimone degli anni di terrore che si profilavano
all’orizzonte. Lui lo aspettava dentro, accovacciato, come un predatore
nell’atto di balzare su una preda indifesa. Il suo lezzo gli colpì con violenza
le narici, aveva creduto di aver finito con i forti odori, invece se ne trovava
uno peggiore degli altri. Non si scompose, anche se amava altri tipi di
“fragranze”, non era certo un uomo dallo stomaco debole. Poi infondo, a quel
tipo di odore ci era abituato. Puzza di morte. Ecco cosa era.
“Così
sei tu quello che ha dato a Picke 2000 verdoni per parlarmi... ora quelli sono
miei e Picke, come dire, è passato ad un altro piano dell’esistenza. Avevo
detto a quel coglionazzo che se qualcuno gli chiedeva di me, doveva negare di
conoscermi... poco male... i mie altri contatti ora sanno che con me non si
scherza. Prima che ti faccia fare la stessa fine, giusto per curiosità, dimmi
chi sei e che cosa volevi da me.”
Il
suo ghigno sardonico avrebbe agghiacciato chiunque, non Feng però. Troppo
abituato a trattare con assassini per lasciarsi spaventare così.
“Troppo
gentile signore. Voglio ricambiarle la cortesia invitandola e non commettere
uno sbaglio fatale e a desistere dal suo proposito. Anche se sembro solo, non
lo sono affatto. In questo momento il palazzo è sorvegliato, una mossa
sbagliata e lei è morto. So che possiede molti talenti... tra questi non c’è,
ahimè, l’immortalità. Dunque se non desidera diventare carne da macello le
consiglio vivamente di non fare idiozie.”
L’altro
rovescio indietro la testa, ridendo a squarciagola. Il suono della sua risata
era stridente e carico di cattiveria.
“Una
minaccia? Per un uomo disarmato è un po’ pericoloso farne, non credi?”
“Credo-
ribatté senza perdere la calma e senza perdere di vista i suoi movimenti- di
avere un’offerta che lei non può rifiutare. Non senza morire. La città,
signore, non è più un posto sicuro per chi non stabilisce un sodalizio con
amici potenti. Può star certo che più potenti dei miei padroni non ce ne sono.
Ora noi le offriamo la possibilità di ritagliarsi una fetta di profitto dalle
nostre future attività... in cambio per altro di un lavoretto che lei gradirà
molto.”
“Ah!
Sentiamo un po’... di cosa si tratterebbe?”
“Uccidere
l’Uomo Ragno.”
Nessuna
risata, nessun suono. Neanche un respiro. Poi...
“Parliamone.”
L’unica
risposta che ricevette.